Arzibanda. La storia di una festa popolare
È l’8 marzo del 1997. Il giorno della festa della donna. In quella stessa notte la tranquillità del piccolo paese di Capistrello viene scossa dalla notizia che arriva dalla vicina Avezzano.
Un incidente stradale, come tanti ne sono già capitati su quella maledetta superstrada del Liri che attraversa la Valle Roveto, si porta via la vita di un giovane del posto e ne compromette seriamente un’altra. La notizia, come spesso accade in questi casi, fa presto il giro del paese e i primi a saperlo sono i loro amici. Tanti di loro sono già in discoteca a festeggiare come in un sabato qualsiasi, altri in giro per il mondo a sperimentare stili di vita differenti. A toccare la tragedia è infatti un gruppo di ragazzi che non si è accontentato della classica vita di paese. Sono loro i primi a partire annualmente per i campeggi ad Umbria jazz nei primi anni Novanta, i primi ad aprire la strada ad altri per lunghi viaggi in autostop verso la Spagna o in treno verso Londra.
La domenica, quelli che sono all’estero, vengono avvertiti dal paese di quello che è successo. Il lunedì sono tutti stretti ad accompagnare il loro amico nell’ultimo viaggio. Il martedì invece è il giorno dei ricordi di tutto quello che si è passato insieme e anche quello di un’idea: creare un evento che possa ricordare la memoria dell’amico scomparso. Non il classico memorial calcistico, niente che abbia a vedere con celebrazioni tristi e strappalacrime. L’idea è quella di una festa: musica, teatro e arte. Tutto da incastrare nel centro storico di Capistrello, un luogo che sta vivendo lo spopolamento dovuto a nuove costruzioni e a emigrazione verso città e terre più floride. Da marzo a luglio il passo è breve.
Il 4 del mese estivo la festa è già pronta; due giorni di camminate tra vecchi ruderi, punto ristoro e concerti. Il tutto grazie alla generosità degli abitanti, che mettono a disposizione le proprie cantine e partecipano in prima persona durante la questua popolare. E il tutto è un successo di pubblico e di critiche inaspettato in un paese da sempre abituato alla classica festa patronale fatta di bancarelle, cantanti sanremesi e fuochi d’artificio. A cantare, sul palco della piazza di Sant’Antonio arriva anche Daniele Sepe, che poche settimane dopo, proprio ad Umbria Jazz, loderà l’operato dei ragazzi mettendoli a confronto con quella manifestazione ormai già devota al dio danaro. È la spinta definitiva per il gruppo: quella stessa festa nata per ricordare un amico e che non ha ancora un nome deve continuare. E nel 1998 arriva il nome: è Arzibanda, un termine ripreso dalla memoria collettiva che sta a significare gioia e caos, baldoria e confusione. È questo l’inizio della lunga storia di Arzibanda, una premessa necessaria per raccontare di un Festival che sarebbe meglio definire Festa e basta.
Una festa che nel 2014 arriva all’ambizioso traguardo della diciottesima edizione; una maggiore età virtuale che inorgoglisce e fa sentire il peso della responsabilità a tutti quelli che hanno continuato ad organizzarla negli anni. Il gruppo iniziale infatti ha vissuto negli anni un ricambio generazionale non da poco dovuto a scelte di vita familiare e lavorative diverse, ma altri sono entrati a far parte di una squadra che non ha mai cambiato modo e tenacia nell’organizzare. Forse, quello che differenzia Arzibanda da festival ben più noti in giro per l’Italia è proprio questo: lo spirito di sacrificio e di abnegazione per una causa che non è economica né per assumere posizioni dominanti nel contesto economico e culturale della zona. Chi organizza Arzibanda lo fa, oggi come ieri, solo per portare nelle aride terre marsicane cultura e propositi a costo zero. Lo fa per vivere una esperienza di gruppo, comunione e partecipAzione. Lo fa, soprattutto, per arricchire le prossime generazioni di input utili a vedere il mondo circostante in maniera differente.
Capistrello, come tanti altri centri del comprensorio è un posto da cui oggi come ieri in tanti sono partiti e partono ancora per andare a lavorare all’estero. E stupisce non poco di come i decenni di emigrazione non abbiano aiutato a portare nuove idee da tutti i paesi che i capistrellani hanno visto nel mondo. Uno dei fondamenti alla base di Arzibanda invece sta proprio qui: portare davanti agli occhi stupiti di grandi e piccoli, quello di cui gli organizzatori hanno potuto godere in giro per teatri e palazzetti sparsi per il globo. Un assunto semplice, per poter portare nel paese quella cultura e quelle tradizioni di altri paesi utili a far intendere che altre vie sono possibili. La dimensione “paesana”, dunque, viene vissuta e reinterpretata dagli organizzatori, che quest’anno più che in passato sentono il peso della maturità e hanno deciso di puntare anche su un pizzico di internazionalità in più.
Perché c’è bisogno anche di reinventarsi ogni volta e perché stupire è un altro fondamento di Arzibanda, capace negli anni di proporre più di 200 spettacoli di assoluto valore nelle terre di Fontamara seguendo l’istinto, lottando per ottenere quei pochissimi contributi che le istituzioni hanno voluto tributargli e mantenendo sempre uno spirito di sana follia e di caos organizzato che non è facile rendere l’idea. Per cui, se si vuole provare a vivere una quattro giorni culturale lontana dagli stereotipi dei format festivalieri classici, l’invito è dal 17 al 20 luglio a Capistrello, provincia dell’Aquila, in Abruzzo, un posto che un giorno, sperano i ragazzi, potrà essere ricordato anche per quella manica di sciagurati che avevano in mente un sogno e sono riusciti a realizzarlo.
Gianluca Salustri
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