Clemente Di Leo. Un poeta abruzzese
C’è una zona dell’Abruzzo, alle pendici della Maiella, che possiede qualcosa di magico quando si parla di storia e letteratura. È proprio da quelle parti infatti che alcuni piccoli paesi per lo più sconosciuti alle cronache nazionali hanno dato i natali a personaggi assolutamente da ricordare. Benedetto Croce, o meglio i suoi antenati, venivano ad esempio da Montenerodomo, Orsogna invece è il paese di nascita di Mario Pomilio, scrittore, saggista e giornalista scomparso nel 1990. E che dire di Torricella Peligna, tanto cara a questo blog per essere stata la cittadina dei genitori di John Fante, emigrati poi negli Stati Uniti dove il grande scrittore visse e creò i suoi romanzi in cui il ricordo di un’antica “abruzzesità” tornava sovente a riempire le pagine.
C’è però un altro piccolo borgo abruzzese, se possibile ancora meno conosciuto, da segnare in questa particolarissima lista. Si chiama Colledimacine, in provincia di Chieti, e conta, secondo l’ultimo aggiornamento di Wikipedia, 204 abitanti. È proprio qui, all’interno della zona dell’Aventino-Medio Sangro, che nacque nel 1946 il poeta abruzzese Clemente Di Leo, chiamato dai suoi concittadini e familiari anche Dino.
La storia di Clemente “Dino” Di Leo è bella quanto triste, e forse proprio per questo le sue poesie assumono un significato doppio che le fa apprezzare ogni qualvolta si scomoda l’argomento della cultura di provincia, quella, per intenderci, spesso sottovalutata ma sempre portatrice sana di passione e realismo. Di Leo infatti scopre subito dopo le scuole elementari di avere una malformazione cardiaca che gli impedirà di crescere come i giovani della sua stessa età. Pochi vizi, poche fatiche da poter compiere, pochi progetti di migrazione verso città che gli consentano di proseguire gli studi. Ma il giovane Dino non si abbatte e fa di necessità virtù, dedicandosi alla formazione da autodidatta davanti alle sue montagne, quei dirupi d’Abruzzo che diventeranno, in una delle composizioni brevi più riuscite, la sua reggia, “colorata d’azzurro con la mia voce frantumata in getti di parole”.
Quella stessa reggia, per Clemente Di Leo, arriva a rappresentare una gabbia aperta in cui è comunque possibile volare con la fantasia. Il proprio angolo di mondo non è più un orizzonte chiuso alla vista dalla Maiella, ma un microcosmo da esplorare e raccontare come ancora nessuno ha mai fatto prima. Le partite a carte nel piccolo bar di paese diventano allora la scusa buona per vincere qualche lira da investire in acquisto di libri e biglietti d’autobus per Pescara, unico posto a lui vicino in cui è possibile reperirne tanti altri in giro per biblioteche.
Ci tornerà spesso a Pescara Di Leo, anche nel momento in cui ci sarà bisogno di cominciare a promuoversi e a vendere le proprie opere – anche mano a mano ai passanti sul lungomare della città – per cominciare a intascare qualche piccolo gruzzoletto da reinvestire subito in nuove pubblicazioni. E qui inizia l’altro capitolo della “leggenda” di Di Leo, che si autopubblica le prime opere sotto falso nome, facendo cadere nell’inganno anche le maggiori riviste dell’epoca, che riprendono le sue poesie firmate da tale Massimo Rocòvic. È lui stesso a spacciarsi per un editore che aveva raccolto gli scritti di un amico straniero suicidatosi qualche mese prima e ne scrive anche la nota introduttiva: “Nell’ora più critica della letteratura italiana, adesso che la sfrontata pubblicità e premi spesso scandalosi accecano le masse, ecco sorgere la luce di Massimo Rocòvic, nato appena nel 1946, che tra il superficialismo dannunziano e l’inaridito e quasi estinto ermetismo resterà certamente una delle voci poetiche più autentiche e singolari del nostro Novecento”.
Di Leo è beatamente sfrontato, quasi come un rappresentante della letteratura beat tutto all’italiana, un vagabondo del Dharma, anzi della Maiella. Si prende gioco dell’ambiente letterario come un collettivo Luther Blissett ante litteram. Ha frequentato poco i salotti colti e ne è scappato presto perché, rivelerà un giorno: “Non appartengo alla poesia delle lettere ma a quella vissuta, sentita nella verità del mio spirito”. E non ha frequentato nemmeno il mondo accademico e quello editoriale, ma sa come prenderli in giro entrambi stuzzicandone al tempo stesso la curiosità. Il suo nome comincia così ad apparire su giornali e riviste letterarie dell’epoca e i suoi versi ad attirare l’attenzione delle giurie. Come quella aquilana del premio “La Madia d’Oro”, primo e vero riconoscimento che gli viene attribuito nel 1970 per il suo poemetto Gilgamesh. L’introduzione che farà Giuseppe Porto alla pubblicazione dell’opera, per la prima volta con un editore, è tutto dire: “La poesia di Clemente Di Leo scaturisce dalla roccia, dagli stagni, dalla zolla, dalle cantine, dalle carte del tressette, dal sole. È tutto strano nella vita e nell’opera di questo abruzzese cresciuto come un toro, ribelle e spavaldo, di questo avversario della letteratura e del commercio culturale, autodidatta dalle molte e disordinate letture: ma tutto vi è autentico, come un poderoso muggito, un’eruzione o un sisma, o come un’inondazione e un’esplosione stellare, o anche come il grugnito dell’amico maiale e la morte di un fiore”.
Siamo già al punto più alto della giovane carriera di Di Leo, un punto in cui però la storia, proprio sul più bello come nei film, si interrompe. Clemente muore il 5 luglio dello stesso anno per il protrarsi della sua malattia, o forse perché, come ricorda qualche amico, sceglie lui di non porsi più limiti di cibo e alcol durante la notte dei festeggiamenti. Come se il compito di dover dimostrare agli altri e a se stessi di poter riscrivere la poesia anche tra le montagne fosse stato portato a termine, come se il posto da raggiungere nel paradiso dei poeti si fosse finalmente liberato proprio lì, a due passi dalla cima della Maiella.
Per saperne di più su vita e opere di Clemente Di Leo:
Il poeta e la sua signora (Libro di Margherita Venturelli)
Colledimacine. Luoghi e opere di Clemente Di Leo (Cd-rom a cura delle edizioni Menabò)
Il cortometraggio La Leggenda di Clemente Di Leo di Marco Ciafarone su Vimeo.
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Gianluca Salustri
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