Ennio Iacobucci. Dalla Valle Roveto al Vietnam senza ritorno
Quella di Ennio Iacobucci è una storia che sarebbe perfetta per una fiction televisiva dei giorni d’oggi, con una sceneggiatura già bella e pronta a essere trasferita sul piccolo schermo senza bisogno di grandi artifici di scrittura. Gli ingredienti ci sono tutti: nascita in un contesto e in una famiglia povera di un piccolo centro montano, trasferimento nella capitale e vita che prende una strada inaspettata e piena di avventura. Poi, il finale amaro, con il riconoscimento al proprio lavoro che arriva solo dopo la morte, a lasciare la delusione per quello che poteva essere e non è stato.
E allora, in attesa che un giorno qualcuno dedichi un po’ di tempo a questa idea, ricapitoliamo, per raccontare a chi non lo sa, di uno dei più importanti fotoreporter di guerra italiani proveniente da San Vincenzo Valle Roveto, in provincia dell’Aquila. Ennio Iacobucci nasce a Morrea, frazione del piccolo centro della Valle Roveto, nel 1940; parliamo di un paese di poche centinaia di anime al confine tra Abruzzo e Ciociaria e la situazione non proprio florida della famiglia contadina lo porta a essere ben presto mandato in collegio. Da qui la prima fuga, per andare a cercare la vita, quella vera, a Roma, dove Ennio inizia a lavorare come garzone in un negozio di lustrascarpe.
È nella capitale che nel 1960, in coincidenza con le Olimpiadi, la vita di Ennio cambia all’improvviso. Nel negozio entra il giornalista inglese Dereck Wilson, che segue i giochi olimpici come inviato per diverse testate internazionali. Wilson guarda negli occhi Ennio e capisce che dietro quello sguardo si nasconde un mondo tutto da scoprire e da far rivivere; così arriva la proposta di seguirlo in Inghilterra. Il giovane Ennio accetta senza remore, e dopo qualche mese è già oltremanica, dove in poco tempo impara le lingue e, soprattutto, ad usare la macchina fotografica. È il segno di svolta; Wilson è uno dei più accreditati giornalisti dell’epoca e scrive per alcune delle agenzie e dei quotidiani più importanti al mondo (France Press, New York Times, Time, Newsweek, Reuters, Daily Telegraph, Paris Match). Lo fa anche dalle zone di guerra, dove spesso si incontra, tra gli altri, con Oriana Fallaci e dove negli anni successivi si fa accompagnare da Ennio Iacobucci, che in poco tempo diventa un punto di riferimento nei più tristi scenari bellici degli anni Sessanta e Settanta.
Il giovane abruzzese si ritrova infatti, nel 1967, al centro della Guerra dei Sei giorni; è il suo battesimo del fuoco e gli anni a venire dimostrano il coraggio e la sfrontatezza del nostro protagonista, sempre in prima linea e anche oltre. Così subito dopo arriva il Vietnam, dove la brutalità della guerra si mostra in tutta la sua nuda realtà e dove Iacobucci riesce comunque a mostrare anche il lato di un Paese che continua a vivere nonostante tutto (“Qui a Saigon c’è sempre aria di festa, o forse più semplicemente tutti fanno finta di niente, ignorando che dietro ogni angolo si combatte e si muore”).
Ma è nel 1975 che il suo lavoro gli regala la più grande soddisfazione professionale: è il 17 aprile e Iacobucci è il primo e unico fotografo occidentale a riprendere la conquista della capitale della Cambogia da parte dei Khmer rossi (per questo verrà anche candidato al premio Pulitzer). È il punto più alto di una carriera e di una vita vissuta al limite della sopportazione per le scene che gli si sono parate davanti prima in giovinezza e poi durante alcuni dei conflitti più cruenti che il mondo possa ricordare. Il punto più alto che rappresenta anche l’inizio della discesa, perché sono quelle stesse scene, forse, che nel 1977 lo portano al suicidio una volta tornato a Roma, dove si ritrova per lunghi mesi senza più ispirazione. Lontano dall’adrenalina della guerra, dalla Londra della formazione, e dal quel piccolo borgo tra le valli abruzzesi da cui tutto era partito.
Per chi fosse interessato ad approfondire il lavoro del fotoreporter Iacobucci, segnalo il libro VIETNAM – Fotografie di guerra di Ennio Iacobucci, 1968-1975, edito da De Luca editori d’arte e a cura del giornalista Vittorio Morelli, a cui va dato il merito di aver rispolverato dagli scaffali impolverati della storia fotografica italiana questa figura fondamentale.
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Gianluca Salustri
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