L’Arminuta, storia di una piccola grande donna ritornata
Da quando ho aperto il blog di Qualche riga d’Abruzzo per provare a parlare di come la nostra regione viene raccontata sui libri e nel web, mai mi era capitato di ricevere così tanti suggerimenti di lettura di un libro nel giro di poche settimane. È quello che è successo negli ultimi due mesi; da quando cioè il passaparola ha cominciato a portare alla ribalta, anche tra i lettori meno forti d’Abruzzo, un titolo e un’autrice di Penne che ben si sta facendo volere dalle classifiche di vendita in Italia.
Lei è Donatella Di Pietrantonio, che al suo terzo libro è stata scelta addirittura da Einaudi ed è stata, anche, selezionata tra i cinque finalisti del Premio Campiello. In attesa di sapere se la nostra riuscirà nell’impresa di portare a casa l’ambito riconoscimento nella serata conclusiva del 9 settembre (aggiornamento: sì, alla fine ce l’ha fatta!), io non ho potuto fare a meno di ascoltare i consigli arrivati da amici e lettori del blog e mi sono lanciato finalmente nella lettura, durata un giorno, di L’arminuta, che andrebbe pronunciato in altro modo rispetto a come si legge visto il suo essere un termine dialettale, ma perdonatemi se non sono ancora in grado di trascrivere foneticamente le parole abruzzesi.
L’arminuta, dicevamo, che significa letteralmente “quella che è ritornata”, e che è un libro pieno, e tanto, di Abruzzo. Un Abruzzo arcaico, incastonato negli anni Settanta, in cui il boom economico era già stato per molti ma non per tutti, e in cui i paesi dell’entroterra erano ancora molto lontani dalle luci brillanti del litorale. L’arminuta nasce, cresce e vive in quegli anni. Ed è protagonista, suo malgrado, di un processo di ritorno mai accettato e soprattutto non richiesto.
La trama, ben costruita e dolorosa, narra di una madre adottiva che la ridà indietro ai genitori naturali quando è ancora, forse, troppo bambina per accettarlo. Un viaggio all’indietro dalla grande città sul mare – e soprattutto dagli agi e dalla comodità di una madre premurosa e senza problemi economici – ad un piccolo paese dell’entroterra, dove altri quattro tra fratelli e sorelle, una madre vera ma mai accettata e un padre burbero la riaccolgono a braccia nemmeno tanto aperte.
La crescita del personaggio, e di una bambina destinata prima delle altre a diventare donna, è accompagnata da continui snodi ed episodi segnanti, resi vivi dal linguaggio serrato e mai banale dell’autrice. Brevi periodi che si susseguono lasciando ogni volta un graffio indelebile in chi legge, attratto dalle vicende di una piccola Arminuta stretta tra privazioni e sentimenti femminili contrastanti verso madri, sorelle e amiche che stenta a riconoscere come tali.
Un libro femminile, tanto. In cui il rapporto madre/figli prende la via di un doppio binario a curve cieche e in cui tornano prepotentemente sulla scena amori e sentimenti contrastanti. L’arminuta, datemi retta, è un libro da leggere. Per riscoprire, oltre gli amori e i dolori, un mondo che sa di timballo con le pallottine di carne e di brodo di cardo con la stracciatella a Natale. Di salsa di pomodoro fatta in casa a fine estate. Di lavanda e di presentose che pendono su petti prosperosi. Ma anche di lutti e privazioni, di assenze e presenze nascoste e di febbri procurate per sopprimerle. Di un Abruzzo ancora non troppo lontano nel tempo e di paesi in cui le storie si ripetono, da sempre, sempre uguali.
Gianluca Salustri
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