Bergerac. Racconto breve di un amico fragile.
[Questo è un post della sezione storie, che sono piccoli stralci di narrativa all’interno delle più ampie narrazioni sull’Abruzzo che di solito si fanno su questo blog. Se vuoi pubblicare anche tu un racconto scrivi a info@qualcheriga.it]
Di nuovo bare che si portano via buchi, banconi su cui poggiarsi e cucine da sodomizzare mentre fiori freschi circondano i fegati appassiti e gli amori di un tempo si ritrovano fuori dal sagrato. Sui volti di chi ha già dato, lacrime di sale bagnano guance non più capaci di arrossire. Ci si ristringe ancora una volta attorno al sacro fuoco e il popolo di chi ha chiesto altro alla vita è tutto lì, sotto gli occhi ammonitori dei benpensanti.
Il paese è anche questo. Microcosmo che proietta copioni già visti e li amplifica ad ampio raggio. Comunità piccola eppur disomogenea che servirebbero diverse inquadrature per studiarla ma bastano occhi attenti per analizzarla. Non è dato sapere se cambierà mai qualcosa in questo piccolo buco di mondo, intanto però un altro pezzo di quella storia bislacca che è la periferia del borgo se ne è andato e di lui mancherà tanto a chi lo ha conosciuto; niente a chi crede che la sua vita sia stata offerta solo al dio della sofferenza e del dolore.
Si chiudono pagine e si riaprono ferite tra le facce tristi di qualcuno e l’indifferenza di tanti altri. Di chi, per intenderci, non è mai stato al Primo Bar, vero incrocio di destini beffardi e di vite vissute ai limiti della sopportazione fisica. Luogo genuino, in cui l’umanità sincera e i cuori colmi straripano di sentimenti affogati nei liquori del mattino e nella musica neomelodica a tarda sera. Dove i santi offrono da bere e le statue non piangono. Alcova di sogni e speranze mai sopite. E di sguardi, persi, verso il verde della montagna, baluardo immobile che protegge e consola anche solo stando seduti su una sedia di plastica gialla. Luogo di ultimi che saranno primi. Cattivi maestri destinati a lasciare il segno a modo loro. Illustrando al resto del mondo che c’è sempre un’altra via da percorrere. Scorciatoia o strada tortuosa che sia.
Come faceva Bernardo. Per gli amici Bergerac. Ultimo innamorato della vita ai limiti del possibile, dell’esasperazione dell’eccesso, dell’equilibrismo sul filo sottile che sta appena sopra all’ordine costituito. Bernardo dal naso grande e dal cuore di più, con occhi solo per Sofia, la figlia unica nata da un amore evaporato troppo presto in una nuvola rossa, quando i lacci erano troppo stretti attorno al braccio e a un certo punto la rota non c’era più. Sofia la prediletta di tutto il quartiere, tutelata e coccolata da vecchie signore con il velo nero del lutto ancora in testa e grosse gonne da matrona sotto le quali nascondersi nei giorni di temporale. Sofia la bella, cresciuta in fretta con addosso gli occhi di tutti i ragazzi del quartiere ma le mani no, perché della bellezza, e dei padri, c’è ancora rispetto anche nei posti dimenticati da Dio o chi per lui.
Bernardo e Sofia. Rette parallele in una strada di curve cieche. Tesi e antitesi di un saggio breve dai margini del mondo. Prova e controprova che dal letame può nascere veramente un fiore. Dai petali rigogliosi e dal gambo robusto, pure. Pronto ad accogliere api persino nei giorni neri. Come da oggi in poi. Che Bernardo e il suo carico di patimenti tenuti nascosti agli occhi di Sofia se ne sono andati un po’ più in là. Dove proteggerla da se stesso sarà infinitamente più agevole. E dove a far danni, insieme agli amici fragili già partiti, c’è ancora più gusto.
[Foto di copertina: Daniel Beilinson da Unsplash]
Gianluca Salustri
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