Il Palpa. La pazzesca biografia del più grande talento mancato del tennis
Ad aprile 2018 usciva sulla rivista «Il Tennis italiano» un articolo dal titolo Semplicemente il Palpa, il più forte di tutti firmato dal giornalista di Eurosport Federico Ferrero. Un pezzo ripreso negli stessi giorni dal «Corriere della Sera», primo quotidiano nazionale interessato a dare ancora più visibilità a una storia che aveva a modo suo dell’incredibile prima ancora di essere raccontata, e che in pochi giorni fu capace di farsi leggere e condividere sui social network migliaia e migliaia di volte.
La storia è quella di Roberto Palpacelli, nato nel 1970 a Pescara, dove è tornato a vivere dopo molti anni passate nelle Marche. Un tennista che gli addetti ai lavori avrebbero voluto vedere al Roland Garros ma che ha preferito scegliere la strada della sregolatezza. E che il genio, invece, lo ha impiegato tutto per trovare gli espedienti migliori per procurarsi alcol e droga sul lungomare Adriatico, dal litorale abruzzese fino a San Benedetto del Tronto. “Palpacelli. Il più forte di tutti” è una frase ripetuta come un mantra da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di vederlo giocare sui campi in terra battuta della costa. Su quelli e pochi altri, perché tutte le occasioni avute dal talento abruzzese per farsi conoscere fuori regione e nel panorama internazionale, dalla Sicilia alla Spagna fino all’India, sono presto naufragate grazie alla volontà del Palpa di andare a spasso con i suoi demoni preferiti.
Demoni che Federico Ferrero, conscio che la nobile arte del giornalismo funziona ancora molto bene quando si fa “sul campo e non esclusivamente impastando materiale raccolto sul web”, ha impiegato anni per rintracciare, riuscendoci solo dopo un lungo incrocio di fonti orali e conoscenze nel settore, per arrivare a scovare nel piccolo circolo del dopolavoro ferroviario della riviera delle Palme quel tesoro di storia che, dopo essere stata pubblicata sul giornale, si è meritata nel giro di poche settimane una proposta per la pubblicazione di un libro da parte di Rizzoli.
Il più forte di tutti. Il libro che svela aneddoti, curiosità e leggende del Palpa
Un libro che, rispettoso del mantra di cui sopra, si porta dietro il titolo di Il Palpa. Il più forte di tutti, e che in 220 pagine riesce finalmente a svelare aneddoti, curiosità e leggende più o meno metropolitane che da anni si raccontano su quello che potrebbe definirsi un George Best nostrano, meno famoso del fuoriclasse calciatore nordirlandese certo, ma con il quale ha condiviso in epoche e sport differenti la stessa vocazione all’autodistruzione di quanto di meraviglioso fatto sul campo.
[…] In Sicilia, alloggiavamo in un hotel che si chiamava Villaggio Aranci insieme alle rappresentative degli altri Paesi. Come dimenticarlo! La prima sera insegnai ai miei compagni la “passatella”, un gioco delle mie parti che si fa con le carte e una damigiana di vino. Un gioco alcolico, durante il quale poteva capitare di tutto: anche il morto, come successe a Chieti a fine Ottocento, una storia che avevano raccontato pure a me. Noi non morimmo, ma forse ci eravamo andati vicini […]
Il viaggio all’inferno con biglietto di ritorno del Palpa, nel libro, è una pazzesca biografia scritta a quattro mani con Ferrero, a cui non manca il mestiere per far emergere gioie, dolori e sentimenti di una vita vissuta sul filo della rete di metà campo ma soprattutto su quello degli aghi di siringhe bagnati di eroina e sui bordi delle decine di bicchieri consumati insieme agli amici “rotonders”, un gruppo di personaggi che hanno fatto a pugni con le proprie vite – alcuni vincendo e altri perdendo per sempre – e che erano soliti stazionare nei primi anni Novanta davanti a quel circolo Maggioni di San Benedetto del Tronto che, nonostante tutto, ha rappresentato l’ancora di salvezza di Roberto.
Perché sì, nonostante un fisico sottomesso all’uso quotidiano di sostanze di ogni tipo, e magari giocando con un bel po’ di Campari (più Gin) in corpo, il Palpa il tennis non lo ha mai abbandonato. Almeno quello del circuito Open, “accontentandosi” di diventare campione italiano over 30 e over 40 e di vincere decine di sfide, anche contro avversari piazzati tra i primi trecento al mondo. Il tutto con un’assurda facilità.
[…]Palpacelli, invece, faceva il senzatetto. Quello stesso Palpacelli di cui Diego Nargiso una volta disse: «Roberto da ragazzino era spaziale. Se devo dividere i tennisti tra chi aveva i mezzi per diventare professionista e chi no, lui stava sicuramente dalla nostra parte». Poi però il giocatore napoletano aggiunse: «Ma io ero al primo livello di pazzia: perdevo il controllo soltanto in campo. Paolino Canè, per citare un altro scavezzacollo, era al secondo livello: un matto per l’ottanta per cento del tempo. Il Palpa era al terzo: pazzo per tutto il giorno. E il livello successivo era quello del manicomio».
E a questo punto della storia in fondo non è neanche un peccato che tra le righe si scopra che alcuni racconti che mitizzavano ulteriormente la sua storia (come quello che lo volevano vincente due volte contro Boris Becker) siano solo il frutto della fantasia di chi lo ha amato, seguito e inseguito sui campi al confine tra Marche e Abruzzo. Le ultime vittorie sul campo, Roberto Palpacelli le ha infatti regalate ancora, e solo, in provincia, trascinando in appena tre stagioni, e a quarant’anni suonati, la piccola società di tennis del Mosciano dalla serie C alla A2. Una sorta di miracolo sportivo da quelle parti, possibile solo grazie alla cocciutaggine di chi ha voluto puntare ancora una volta su un cavallo pazzo che solo qualche mese prima era stato ricoverato con un Tso una volta e per un’overdose un’altra.
Dopo quelle ed altre esperienze al limite del possibile per un corpo umano, il Palpa oggi, con un fegato malandato e una boccetta di Valium sempre in borsa con sé, come per sdebitarsi con lo sport che quasi ha rinnegato (e anche per sbarcare il lunario), insegna a panciuti signori o a giovani dalle belle speranze come si tiene la racchetta in mano. Sembra, addirittura, che a San Benedetto facciano la fila per un’ora di lezione con lui. Ma quando arriva il momento di scrivere nero su bianco quale sia stato il suo più grande successo Roberto non ha dubbi: esserci ancora nonostante tutto, per donare tutto quello che ancora gli è possibile alla famiglia che si è costruito e al piccolo figlio che gli ha regalato l’ennesima e probabilmente ultima chance nella vita. Senza più palle ad effetto nelle vene o rovesci velenosi dal bicchiere, ma solo con un’ostinata voglia di farcela senza guardarsi indietro e, soprattutto, senza pentimenti per quello che (non) è stato.
Gianluca Salustri
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