I selciatori di Alfedena. Una storia da (ri)scrivere oggi
Il tour di presentazioni in giro per l’Abruzzo di “Pane e polvere”, il mio libro sui minatori di Capistrello, mi ha portato nei giorni scorsi ad Alfedena (mi raccomando da subito: non confondetela con Civitella Alfedena che i cittadini ovviamente ci tengono!), su invito dell’associazione culturale Sali d’Argento. Così, blocchetto degli appunti in una mano e copie del libro nell’altra, ho avuto finalmente modo di andare a scoprire qualcosa in più su una storia che da tempo mi ero segnato tra le cose da fare per il blog di Qualche riga d’Abruzzo.
È una storia del tutto simile a quella che ho narrato nel libro, con coordinate geografiche certo diverse ma con gli stessi tratti comuni di tanti paesi d’Abruzzo che hanno pagato sulla propria pelle il costo dell’emigrazione e delle transumanze economiche. Se il lavoro che ho svolto su “Pane e polvere” è stato infatti dedicato a un paese conosciuto per aver dato i natali ad almeno due generazioni di uomini che hanno dedicato la loro vita alla costruzione di gallerie in tutto il mondo, Alfedena, a sua volta, è da tempo denominato il paese dei Selciatori.
I selciatori di Alfedena dall’Abruzzo a piazza San Pietro
Perché è proprio da qui, da questo grazioso borgo di poco meno di mille anime – che diventano più di sei mila l’estate – posizionato lì dove l’Alto Sangro diventa Parco Nazionale d’Abruzzo, che sono partiti gli uomini migliori chiamati ad edificare, un sampietrino dopo l’altro, le strade di tante città italiane, compresa Roma e compresa anche Piazza San Pietro in Città del Vaticano.
Alfedena, per la sua posizione, è una sorta di posto di confine. Con un bel po’ di territorio montano che rientra nel Parco e il centro abitato “escluso”, così da consentire nei decenni scorsi una corsa alla costruzione quasi selvaggia che ne ha cambiato i connotati, svuotando il centro storico dei suoi abitanti e ampliando a dismisura le aree edificate nei dintorni. Nonostante le influenze che un posto di confine come questo per forza di cose subisce nel tempo, Alfedena riesce però a mantenere ancora intatti alcuni tratti salienti della sua storia proprio nelle strade del centro storico lastricate esse stesse dai sampietrini e dominate dai resti della torre ottagonale Normanna e del castello medievale del principe Caracciolo di Cellammare. Ogni quartiere del borgo, per dire, ha mantenuto sulla pavimentazione disegni e composizioni di pietre che da centinaia di anni sono lì ad indicare la postazione in cui vanno accessi i falò durante la festa di Sant’Antonio Abate a gennaio.
Le stagioni del fieno e della pietra
Alfedena però è anche un paese segnato, nei secoli scorsi, da una transumanza sui generis riconoscibili da due tipi di movimenti più o meno stanziali, la stagione della pietra e la stagione del fieno. Che quando c’era da andare in campagna si andava in campagna, e quando il tempo non lo permetteva più ci si riversava sulle vicine cave per recuperare i materiali che avrebbero significato un altro tipo di ricchezza, altrettanto faticosa ma utile a mettere in opera strade e vicoli del paese, portali delle proprie abitazioni e poi, una volta raggiunta la maestria totale nella particolarissima arte dell’estrazione e della posa dei selci, il viaggio verso nuovi posti da decorare con le proprie “teorie” di pietre incasellate una dopo l’altra.
Perché se inizialmente i selciatori di Alfedena lavoravano “semplicemente” all’estrazione della pietra nelle cave più vicine al paese, di lì a poco un intero pezzo di comunità si trasferirà nella zona dell’Agro Romano, all’altezza del ventesimo chilometro della Casilina, dove fonderanno la frazione di Laghetto – che ancora oggi rappresenta il più importante centro industriale di Monte Compatri – nelle cui vicinanze sorgevano le importanti cave di basalto che hanno assicurato la fornitura eccezionale per gran parte delle strade della Capitale. È da lì che ancora ogni estate tornano tanti degli emigranti di seconda e terza generazione, quei figli o nipoti dei selciatori di Alfedena che purtroppo sono ormai scomparsi senza che nessuno sia stato in grado in passato di raccoglierne le testimonianze.
Il tempo di nuovi studi sui selciatori di Alfedena
Se la memoria orale si è così irrimediabilmente persa, non altrettanto si può dire delle fonti archivistiche, che più di qualche associazione o singolo studioso, mi sembra di aver capito, sta cercando di recuperare da scaffali impolverati. Ne ho parlato ad esempio con Ester Tollis, ex presidente della Pro Loco di Alfedena, una delle prime a credere nel progetto di ideazione di un museo in cui poter “ripercorrere idealmente tutte le strade che i nostri nonni hanno tracciato; le interminabili teorie di sampietrini, perfettamente squadrati dal loro sudore, dallo loro attenta perizia: i selciatori della capitale, i sontuosi portali delle metropoli americane, le testimonianze che il tempo non ha cancellato e che ci parlano di un mondo arcaico e modernissimo che ha saputo esprimersi a latitudini così diverse con un unico linguaggio: riconoscibile, qualificante, unico”.
E poi con il preparatissimo Gaetano Di Filippo, mente di Sali d’Argento e uno dei promotori culturali della ricca offerta di eventi e iniziative in programma d’estate in paese. Una persona da conoscere e ammirare per la dedizione alla causa, ma anche per l’infinita mole di informazioni di cui è portatore e per la sua voglia di condividerle. È da lui che ho scoperto ad esempio della Società Cooperativa Selciatori di Alfedena fondata proprio a Monte Compatri il 14 dicembre del 1890 dai primi operai specializzati giunti a Roma dall’Abruzzo.
Una data che, arrivati a questo punto, si assume di diritto il ruolo di base di partenza per chi vorrà continuare ad indagare sulle vite e sulle storie di questi uomini, che oggi vengono intanto ricordati con un monumento al selciatore all’interno della villa comunale, simbolo identitario di un’intera comunità eretto nel 1966 e attorno al quale si può e si deve, oggi, costruire un nuovo percorso di conoscenza delle proprie origini.
Per saperne di più:
Gianluca Salustri
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