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Pascal D’Angelo, il poeta del piccone e della pala

Come riportato da Eide Spedicato Iengo nel volume Abruzzo regione del mondo pubblicato da FrancoAngeli, gli abruzzesi che lasciarono la loro casa natia tra il 1900 e il 1915 furono più di 500 mila. Ed è la stessa autrice, nell’introduzione, a definire un aspetto saliente della storia d’Abruzzo, quello dell’emigrazione, come “un tratto permanente, o meglio, una dimensione concreta che ha accompagnato il vissuto della maggior parte dei suoi abitanti per oltre centocinquant’anni”, sia per quanto riguarda le migrazioni oltreoceano che quelle stagionali legate alla transumanza.

Tra questi 500 mila “marinai di montagna”, come definisce gli abruzzesi Umberto Dante nello stesso volume, c’era anche Pasquale D’Angelo, nato nel 1894 ad Introdacqua, o meglio “in una frazione formata da un piccolo agglomerato di case di pietra nelle vicinanze di Introdacqua”, e scomparso a Brooklyn nel 1932 a soli trentotto anni. Una storia nella storia, da rispolverare oggi per comprendere più da vicino i sogni e le speranze, spesso tradite, di chi cercava al di là dell’oceano nuove strade da percorrere.

Pascal D’Angelo, il poeta del piccone e della pala

È il 1910 quando il giovane Pasquale D’Angelo arriva a Ellis Island, l’isolotto artificiale sul fiume Hudson e principale punto d’ingresso per gli immigrati europei diretti negli Stati Uniti fino agli anni Cinquanta. Pasquale arriva nella “terra promessa” insieme al padre e ad altri compagni provenienti dal piccolo borgo nei dintorni di Sulmona. Il ragazzo, proiettato in una realtà molto più grande e confusa dei suoi sedici anni, ha però già le idee chiare, le stesse che gli faranno presto cambiare il nome in Pascal, un modo per emanciparsi agli occhi degli autoctoni e, soprattutto, per provare a sfondare in un campo che al momento non era certo la via più facile per un immigrato italiano.

Il “sogno americano” di Pascal, infatti, diventa presto quello di veder realizzate le sue ambizioni letterarie. Un cruccio. Che il giovane abruzzese comincia a coltivare durante le tante ore passate con pala e piccone a spaccar pietre, a posare mattoni o a cercare una nuova occupazione, spesso sottopagata, nei frequenti tempi di magra della sua squadra di paisani.

[…] il cozzare del piccone e il tintinnare del badile, chi lo sente? Solo lo sguardo austero del caposquadra si accorge di me. Quando scende la notte e il lavoro si ferma, badili e picconi restano muti, e la mia opera è perduta, perduta per sempre. Se però scrivo la mia opera non andrà perduta. Resterà qui, dove oggi potete leggerla, come altri potranno leggerla domani. Invece nessuno, né oggi, né domani leggerà mai quello che ho fatto col badile e col piccone.

Pascal D’Angelo, un son of Italy

La storia di Pascal D’Angelo, come spesso succede, è rimasta per lungo tempo circoscritta e conosciuta solo nella sua zona di provenienza: quell’Abruzzo interno che stenta ancora troppo ad aprirsi e a far conoscere le proprie ricchezze storiche e culturali, forse anche per una sorta di ritrosia verso l’esterno che in fondo cozza proprio con l’idea di un popolo migrante per eccellenza. Ma tant’è, e va dunque ringraziato chi negli ultimi decenni è riuscito a far riemergere da scaffali polverosi le vicende di questo John Fante ante litteram, che con il figlio di Torricella Peligna ha forse poco da spartire se si parla di qualità della scrittura, ma che è riconosciuto come uno dei primi immigrati americanizzati, sbarcato praticamente analfabeta, capace di pubblicare in inglese nell’ostile America del tempo.

Il libro che Pascal D’Angelo riuscì a pubblicare dopo tante peripezie, e una vita votata alla povertà pur di raggiungere l’obiettivo, si chiama Son of Italy, un testo che al pari di un altro volume trattato tempo fa su questo blog, Cristo fra i muratori di Pietro Di Donato, è vera e propria letteratura dell’emigrazione abruzzese, e italiana in generale, a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo.

[…] Noi gente delle montagne abruzzesi apparteniamo ad un’altra genia. Gli abitanti delle dolci pianure del Lazio e della Puglia, nostri pascoli invernali, ci considerano poeti e veggenti. Crediamo nei sogni. Per le vie delle nostre cittadine circolano strani individui la cui esistenza, ne siamo convinti, è avvolta da un alone fantastico. Abbiamo, tra noi, uomini che predicono il futuro e megere senza età che conoscono i segreti della montagna e, fatta eccezione del malocchio, riescono a curare ogni malattia, proferendo parole […]

 

Son of Italy, letto da chi vi scrive nell’edizione del 2003 di Edizioni Qualevita – coraggioso editore sulmonese che lo ha riscoperto dopo la pubblicazione originale in inglese del 1924 – avrebbe probabilmente meritato una traduzione più curata, ma è un libro che porta comunque al suo interno tutto quello che siamo stati, dalle tradizioni popolari della Valle Peligna raccontate nella prima parte del diario di un Pasquale D’Angelo bambino, fino alle fatiche, i soprusi, le topaie frequentate ma anche il senso di fratellanza condiviso da tutti i nostri migranti in un’epoca in cui essere chiamati Dago, o Wops era motivo di scherno ma anche, paradossalmente, di orgoglio.

Un libro che va per forza di cose accompagnato insieme ai più importanti saggi sulla questione, che pure ce ne sono, per non limitarsi così alla sola analisi sociale e sociologica del fenomeno, ma per provare anche a vestire in prima persona i panni di chi quell’America lì la prese di petto, ricevendo in cambio centinaia di porte chiuse come schiaffi a mano aperta sulla faccia. E di chi ha provato a scardinare lucchetti ormai arrugginiti solo con la forza delle parole e della propria cocciutaggine, quella sì, tutta abruzzese.

Pascal-Dangelo-Copertina-libro

Per Approfondire:

Pascal D’Angelo. Il libro di poesie

 

Gianluca Salustri

Gianluca Salustri

Abruzzese forte e gentile. Redattore e curatore di contenuti con penna e tastiera. Dal 2006 nel mondo dell'editoria e della comunicazione. Il profilo completo lo trovi in bio.
Gianluca Salustri
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